Sull’amore ed il timore per la solitudine
“Sto con lui/lei perché lo/la amo davvero, oppure perché ho paura di rimanere solo/a?”.
Questa domanda non ha sesso né orientamento sessuale; è una questione che tutti ci siamo posti almeno una volta nella vita, per non parlare della sua ricorrenza durante i percorsi psicoterapeutici.
Ritengo che non esista una risposta netta a tale quesito, poiché il timore della solitudine, presente o prospettata che sia, è un ingrediente dell’innamoramento stesso.
Mi rendo conto che quest’affermazione possa apparire provocatoria; qualcuno potrebbe senz’altro ribadire “amo il mio partner e sto benissimo da solo, come la mettiamo?”.
Ragionando per metafora, il timore della solitudine (che, volgendolo al positivo, potremmo anche chiamare “bisogno di affiliazione sociale“) è da intendersi come un ingrediente del piatto dell’innamoramento: la giusta quantità di ogni componente può portare a realizzare una pietanza squisita, al contrario ne potrebbe uscire, citando un famoso chef, un “mappazzone”.
Appartiene a tutti noi il bisogno di vicinanza affettiva, un’importante leva che ci spinge ad innamorarci e, quindi, (ora togliamo i cuoricini dagli occhi, grazie!) a sopravvalutare qualcuno, a viverlo come speciale rispetto agli altri.
E’ un bisogno che varia a seconda dell’individuo e che può mutare durante il corso della vita.
Ci sono quindi persone che vivono la reale o possibile solitudine come un incubo da tenere lontano a tutti i costi e che si aggrappano ad uno o più partner, facendoli diventare la loro unica ragione di vita.
Ci sono altri che provano una sorta di piacere nell’avvertire quel vuoto relazionale, preferendo la singletudine, arrivando anche a trasformare artisticamente quelle emozioni. Ci sono poi coloro che evitano puntualmente di ascoltarsi, riempiendo le loro giornate di lavoro e/o di esperienze; costoro è facile che saltino da una relazione all’altra, sperimentando molto di rado un senso di equilibrio.
I modi di innamorarci rapportati al timore della solitudine sono pressoché infiniti e, come anticipato, mutevoli durante l’arco di vita.
Tornando alla domanda iniziale, ritengo che, la prossima volta che ci verrà di porcela, potremmo sostituirla con una serie che, forse, prevedono alcune risposte: “Quale peso ha per me, in questo momento vita, il timore della solitudine? Sento che tale peso mi consentirà di vivere una relazione in maniera progettuale, non aggrappandomi all’altro/a? Quanto sono disposto a mettermi in gioco?”.