
Ho capito, ma quindi cos’è davvero l’Ansia?
Sentiamo spesso parlare di Ansia, termine ormai entrato nel gergo comune e talvolta abusato. Quando qualcuno ce ne parla in maniera più “tecnica”, oppure cerchiamo informazioni nel web, troviamo una lista dei sintomi correlati all’ansia, siano essi più corporei (ad esempio palpitazioni) o psicologici (ad esempio paura di perdere il controllo).
Ma qual’è effettivamente il fenomeno ansioso? Cosa ci porta a sperimentare quegli specifici sintomi?
In questo breve articolo proverò a spiegarlo.
Ansia: un fenomeno diffuso ed eterogeneo
Quello dell’Ansia è un fenomeno assai diffuso; per farsene un’idea invito a leggere questo .pdf di ISTAT risalente ad un paio di anni fa. La pandemia attualmente in corso ha ulteriormente esacerbato il fenomeno e penso di non esagerare nello stimare che oltre il 20% della popolazione soffra o abbia sofferto di sintomi ansiosi.
In questo articolo non mi dilungherò nella descrizione della sintomatologia ansiosa, per conoscere la quale rimando alla lettura di questa pagina del mio sito oppure a quest’altra.
I sintomi ansiosi possono essere più “corporei” o più “mentali” (utilizzo il virgolettato poiché è impropria la distinzione tra i due tipi di sintomi, in quanto non esiste una reale e netta distinzione tra ciò che è corporeo e ciò che è mentale). Rimane il fatto che alcuni individui descrivono l’ansia come “paura di impazzire” o di “perdere il controllo dei propri pensieri”, mentre altri la vivono più come “tachicardia”, “costrizione al petto”, “mancanza di respiro” e via dicendo. Aspetti che accomunano tutte le manifestazioni ansiose sono l’attivazione fisiologica (es. aumento della frequenza cardiaca) e la sensazione di perdere il controllo di sé.
Una tipica manifestazione ansiosa
Una volta constatati quali siano i sintomi che accomunano il fenomeno ansioso, provo a spiegare il motivo per cui l’ansia insorge ed il circolo vizioso che la mantiene. Lo faccio partendo da un esempio clinico.
Mario, 55 enne manager di un’importante azienda multinazionale, si rivolge a me poiché avverte mancanza d’aria e sensazione di perdere il controllo di sé in svariate circostanze, specialmente in quelle nelle quali si sente “intrappolato”. L’esordio di questi sintomi risale a circa un mese prima, mentre si trovava nell’ascensore del palazzo nel quale lavora: “mi sembrava di morire”, “da quel momento devo prendere sempre le scale”, “spesso mi capita di provare quelle sensazioni anche in ufficio o in auto; anche l’altra sera al ristorante sono stato malissimo”. Come mai, di punto in bianco, Mario ha iniziato a sperimentare questi sintomi che, fino a quel momento della vita, non aveva mai vissuto? Cos’è effettivamente quell’esperienza che chiamiamo Ansia?
Per capirlo non dobbiamo focalizzarci sui pensieri di Mario, tanto confusi ed intrappolati in un circolo senza via d’uscita, ma abbiamo bisogno di spostarci nel suo contesto di vita e nella continua interazione tra esso ed il suo corpo.
Facendolo, scopriamo che il paziente è da sempre una persona che si definisce a partire dal successo lavorativo; lavoro per cui ha spesso messo in secondo piano altri aspetti della sua vita. La settimana precedente all’esordio dei sintomi ansiosi, era stato convocato dal’Amministratore Delegato dell’azienda, il quale gli aveva fatto intendere che il suo ruolo sarebbe stato gradualmente sempre più marginale, “così da fare spazio ai più giovani”.
Di primo acchito Mario ha affrontato, a suo dire, “in maniera molto razionale” la comunicazione aziendale: “sapevo che non potevo crescere per sempre, che il lavoro non può essere tutto nella vita”. Rimane il fatto che, da lì a poco, è stato sufficiente trovarsi in un ascensore per avvertire una mancanza d’aria ed una percezione di mancanza di controllo mai sentiti prima. Noi esseri umani siamo molto bravi a raccontare e raccontarci storie: la comunicazione ricevuta dall’AD, ha messo in forte discussione il paziente, facendogli percepire un forte senso di instabilità e di poco controllo di sé.
L’Ansia è un fenomeno socio-corporeo
Dove possiamo collocare il senso di instabilità percepito da Mario? Nella sua mente? Nei suoi pensieri? Per quanto il senso comune ci porti a ritenere questo, noi tutti siamo un corpo immerso in un mondo, dunque ogni nostro vissuto lascia tracce indelebili nel nostro corpo. Lo spiazzamento che ha suscitato nel paziente la comunicazione dell’AD aziendale, lo ha reso particolarmente sensibile alle quelle variabili corporee (es. respiro, costrizione al petto, equilibrio) che, in una condizione di “normalità”, non avrebbe ascoltato e avrebbe date per scontate. L’iper focalizzazione del paziente su queste variabili corporee ed il contingente sganciamento dal reale motivo per cui percepiva tali sensazioni di fragilità/instabilità (ovvero la comunicazione ricevuta), hanno fatto sì che Mario si trovasse in un circolo vizioso corporeo: una costante e paradossale paura delle proprie sensazioni fisiche.

Il circolo vizioso dell’Ansia
Come si evince dallo schema soprastante, il fenomeno dell’Ansia è caratterizzato da un circolo vizioso. Può accadere che, in un determinato momento della vita, ci si possa percepire in grande difficoltà o spaesati di fronte alla vita stessa. Questo vissuto comporta dei cambiamenti a livello di sensazioni e percezioni corporee. Il mancato collegamento narrativo tra le “nuove e sconosciute” percezioni corporee ed i motivi esistenziali che le generano, favorisce l’iper focalizzazione su di esse, come se il loro controllo da parte dell’individuo diventasse l’unico possibile punto di equilibrio (es. “se riesco a controllare il mio respiro, allora non perdo il controllo di me in questa circostanza”). L’esclusione degli eventi di vita dal racconto del proprio malessere e la contingente iper focalizzazione sul proprio corpo come presunta chiave di equilibrio, fanno sì che l’individuo rimanga in costante stato di allerta rispetto alle proprie modificazioni corporee.
Come uscire dal circolo vizioso
Abbiamo visto che il circolo vizioso ansioso è generato da una frattura tra un’esperienza di vita vissuta (es. comunicazione dell’Amministratore Delegato, che impone a Mario un riposizionamento esistenziale) ed il racconto che l’individuo fa a se stesso dei correlati corporei associati all’esperienza (es. la mancanza di fiato in ascensore, conseguente al forte senso di incertezza provata da Mario in questo momento di vita, ma raccontata da lui come conseguenza dello spazio ristretto ed alla impossibilità di vie di fuga percepiti).
L’uscita da questo circolo vizioso, dal mio punto di vista, è vincolato a due aspetti:
1- “rimarginazione” della frattura che l’individuo ha creato tra esperienza vissuta e racconto dei propri sintomi. Nel caso di Mario, quindi, si è rivelato necessario che egli comprendesse il legame tra la sua mancanza d’aria ed il senso di incertezza che stava vivendo in quel momento della vita. Questo gli ha permesso di affrontare gli ascensori e le altre situazioni ansiogene con un differente livello di consapevolezza: “ieri ho trovato la forza di prendere l’ascensore; all’inizio ho avvertito il fiato corto, ma poi mi sono fatto forza ed ho visto che stavo meglio. Dopotutto, il senso di soffocamento e di insicurezza sono legati a motivi di altro genere”. La nuova consapevolezza, inoltre, ha consentito a Mario di affrontare con maggiore presenza a se stesso il difficile risposizionamento esistenziale che lo attendeva;
2- “fronteggiamento” dei sintomi ansiosi. Essendo che fiato corto, tachicardia, senso di stordimento, ecc. non sono manifestazioni di patologia “organica” (es. cardiopatia, malattia polmonare, malattia neurologica, ecc.), tali sintomi non vanno “assecondati”. E’ pertanto auspicabile che il fiato corto non venga affrontato attraverso respiri profondi, bensì regolarizzando il respiro, introducendo poco ossigeno tramite le narici. Allo stesso modo, alla sensazione di stordimento è bene non rispondere sdraiandosi oppure aggrappandosi, bensì provando a normalizzare il proprio passo. E così via per tutte le differenti manifestazioni ansiose.
Questi due aspetti che ritengo necessari per il superamento del circolo vizioso ansioso, non sono da intendersi come successivi, ma si integrano l’uno con l’altro durante un percorso di psicoterapia.
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E’ possibile avere il controllo dei propri pensieri?
Capita molto spesso che un paziente riporti di non riuscire a liberarsi da pensieri sovrastanti, generalmente legati a senso di colpa o di incapacità. Quasi sempre la paura predominante è quella di compromettere la propria immagine rispetto agli altri. Come mai oggi queste “ossessioni” sono tanto frequenti? E’ possibile controllarle, non lasciarsi sopraffare da esse? Se sì, come?
In questo articolo proverò a descrivere il fenomeno, dando priorità alla fruibilità per il lettore e non perdendomi nella descrizione delle innumerevoli ricerche scientifiche sul tema.
Perché oggi le ossessioni sono tanto diffuse?
Innanzitutto invito il lettore poco conoscitore del tema, ad un rapido approfondimento visitando questa pagina del mio sito; ulteriori informazioni sul fenomeno possono essere trovate qui.
Uno dei principali motivi per cui oggi questi pensieri intrusivi sono tanto frequenti è la forte pressione sociale a cui siamo costantemente esposti: “ti devi realizzare” “devi essere felice” “devi essere in forma fisicamente” “non ci si deve accontentare”…insomma, è come se il mondo continuasse a dirci “devi andare bene e, per farlo, puoi far leva solo sulle tue forze”.
Nonostante “il mondo” ci dica questo, poi il dato di fatto è un altro: possiamo essere “sbagliati” (anzi, siamo per natura imperfetti sotto tutti i punti di vista) e, se vogliamo, affidarci agli altri. Nonostante questa rappresenti una concreta possibilità, oggi le persone faticano molto a percepirla come tale, dando quindi via libera al proliferare di senso di inadeguatezza ed ossessioni.
Si possono controllare i pensieri ossessivi?
Mi sento di dare una risposta molto netta: NO.
Non possiamo avere controllo sui nostri pensieri, siano essi piacevoli oppure ossessivi. E’ possibile testare questo dato tramite una semplice prova: chiudi gli occhi e decidi a cosa pensare, focalizzandoti al massimo delle tue capacità sull’immagine su cui intendi soffermarti. Ti renderai conto ben presto che riuscirai a rimanere fermo su quel pensiero solo per poco istanti, poi la mente riprenderà a spaziare verso l’infinito…e oltre.
E’ un po’ come se fosse la “pancia” del momento a guidarci, ad imporci di stare continuamente sul gesto sbagliato compiuto il mese scorso, che ci fa sentire terribilmente in colpa, piuttosto che sulla bella giornata vissuta l’altro giorno, che vorremmo tanto tanto rimembrare per poter essere più sereni.
Sconsiglio, quindi, di provare a controllare i propri pensieri poiché, così facendo, rischiamo di incrementare il nostro senso di inefficacia: dopotutto, sarebbe come provare a controllare il meteo perché non ci piace la pioggia!
E’ la “pancia” a guidarci
Nel paragrafo precedente è emerso un tema che ritengo centrale: è la “pancia”, l’istinto, a dirigere il pensiero.
Semplificando: se sono sereno farò pensieri sereni, se sono agitato ne farò di agitati. Qualcuno potrebbe obiettare: “Non sono d’accordo, a volte sono tranquillo e, d’improvviso, un pensiero negativo mi passa per la testa e rovina la giornata”. Vero, ma a questo ribatto dicendo che, a seconda dei momenti della vita e degli stati d’animo, lo stesso pensiero può farci terrorizzare, sorridere, oppure sentire indifferenti. E’ sempre e comunque il “macro contesto” nel quale facciamo esperienza in uno specifico periodo della vita a farci percepire come sicuri di noi, ansiosi, oppure tristi.
Ma quindi sono utili tutti quei bellissimi video che troviamo nel web, nei quali guru ed esperti (talvolta autoproclamati tali) ci descrivono le 3,5 o 7 strategie definitive per liberarci dalle ossessioni? Vi invito a guardarne quanti ne volete, ed a farmi sapere se vi saranno effettivamente d’aiuto.
Cosa fare, quindi, quando ci sentiamo sopraffatti dai nostri pensieri?
Ammetto che, fino a questo punto dell’articolo, non ho dispensato troppo ottimismo rispetto alla possibilità di potersi liberare dagli attanaglianti pensieri che, in alcune circostanze, possono rendere la vita assai dolorosa.
Escludendo l’utilizzo delle tecniche magiche da YouTube o da best seller in libreria, ritengo che la strada da seguire per un maggiore equilibrio mentale debba, per forza di cose, essere caratterizzata da rigore e fatica.
Rigore, poiché se studiamo la filosofia, la psicologia e le neuroscienze, provando a farle comunicare tra loro, comprendiamo, tra il resto, che non è possibile modificare i nostri pensieri, agendo direttamente su di essi.
Serve fatica per non soccombere ai nostri pensieri: la fatica di fermarci, capire cosa ci ha resi così vulnerabili, accettare i nostri limiti e, fatto questo, correre il rischio di prendere in mano la nostra vita, cambiando ciò che è modificabile ma ci spaventa. A quel punto la nostra “pancia” sarà piuttosto fiera di sé e difficilmente si lascerà sopraffare dal dubbio.
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